Molte aziende sono talmente impegnate nel rendere il proprio prodotto “migliore” rispetto agli altri, che non si preoccupano affatto del significato che i propri clienti attribuiscono a questo termine.
Uno dei problemi più grandi risiede nella dicotomia tra prestazione e percezione: spesso e volentieri il consumatore finale non riesce ad apprezzare il valore intrinseco dell’offerta e si lascia suggestionare maggiormente da elementi complementari che impattano piacevolmente sulla sua sfera sensoriale.
Così, ad esempio, se fosse possibile produrre rasoi con la lama affilata quanto una Katana da samurai, otterremmo sicuramente il prodotto superiore a tutti gli altri, ma non necessariamente quello che riscontra il maggior successo tra il pubblico. E allora? Come si crea questa magica alchimia che rende una proposta preferibile ad un’altra?
Il segreto risiede nei “segnali deboli”, ossia le necessità già presenti tra i consumatori, ma non ancora pienamente manifestate. Scoprire questi bisogni latenti e rispondere coerentemente ad essi, è il miglior viatico per rendere attrattiva la propria offerta. L’obiettivo che qui ci poniamo è proprio questo: interpretare correttamente piccoli disagi e carenze esistenti, che il mercato non evidenzia, semplicemente perché non è compito suo.
In realtà l’economista Michael Porter suggerisce un’alternativa per essere competitivi: praticare prezzi più bassi. Questa tesi è oggettivamente inconfutabile, tuttavia ve la sconsiglio per 2 buone ragioni:
- per quanto basse siano le vostre tariffe, è verosimile che prima o poi si affacci qualcuno sul vostro mercato in grado di proporre quotazioni inferiori alle vostre. Se il motivo del vostro successo fosse riconducibile unicamente ad un vantaggio economico, sareste spacciati.
- questa leva è facile da manovrare, ma difficile da gestire: è molto semplice abbassare il prezzo di un prodotto, ma è altrettanto complicato giustificarne un successivo rialzo.
Ecco perché oggi ci concentriamo sul valore del prodotto e nel farlo faremo riferimento a 2 tecniche sofisticate, utilizzate dagli uomini di marketing per accrescere l’interesse del pubblico.
LE LEVE PSICOLOGICHE
Il consumatore acquista per diversi motivi, alcuni dei quali sfuggono alla sua percezione. In pratica esistono bisogni subconsci e inconsci, complementari a quelli consci, che fanno riferimento a moventi forse più effimeri ma egualmente decisivi. Infatti, se i moventi consci si attengono a bisogni razionali, esistono motivazioni subconscie che appagano pulsioni sociali (di appartenenza) e stimoli inconsci (psico-biologici), legati alla missione ancestrale del genere umano: riprodursi. Passiamo dalla teoria alla pratica, applicando questo concetto al mercato degli orologi.
Dal punto di vista razionale, giacché un orologio serve a misurare il tempo, la scelta dovrebbe ricadere su quello che spacca il secondo. Con 3-4 Euro ne possiamo acquistare uno veramente preciso a cristalli liquidi, poiché il movimento a quarzo garantisce questa prestazione. Si, ma… alcuni non sono del tutto soddisfatti. C’è bisogno di un oggetto che proietti un’immagine più seducente. Ecco allora che nasce la propensione a sborsare centinaia o migliaia di Euro, perché a torto o a ragione, si è convinti che una marca prestigiosa conferirà un quid di mistico al modo in cui si viene percepiti.
Viene così assolto il bisogno di appartenenza: essere accettati dal contesto sociale del quale facciamo parte. Come dicevamo, esiste una spinta all’acquisto più sofisticata e in un certo senso più subdola, perché non avvertita dal nostro io profondo: quella psico-biologica. Già, ma come si risponde a questo richiamo con un orologio? Considerate questo slogan: “un Patek Philippe non si possiede mai. Semplicemente si custodisce. E si tramanda“. Afferrato il senso? Quest’azienda non vende un orologio, ma – nel suo intento – una sorta di immortalità. Assieme ai beni dell’asse ereditario entrerà a fare parte un oggetto che custodisce l’anima del padre, che in questo modo si trasferirà di generazione in generazione.
Ciò che abbiamo ricondotto ad un ragionamento logico, dovrebbe in realtà incidere su quell’inconscio che conduce persone molto facoltose a sborsare diverse decine di migliaia di Euro per un oggetto probabilmente meno preciso di quello con meccanismo al quarzo. L’aspetto paradossale è che il soggetto è del tutto inconsapevole delle reali motivazioni che lo hanno portato alla decisione di acquisto perché il suo inconscio non riesce a comunicare con la mente razionale.
Spero di avervi dato alcuni buoni motivi per uscire dal tranello proposto dall’ingannevole sillogismo <migliore prestazione = successo nel mercato>.
La domanda da porsi è “quali motivazioni emozionali, spirituali e psicologiche possono contribuire a rendere la mia offerta più interessante agli occhi dei miei clienti”?
L’ACRONIMO I.L.C.A.SO.
Cosa spinge una persona ad acquistare un notebook? Si tratta del primo modello che si trasforma in tablet? Supporta funzionalità prima gestibili solo grazie ad apparecchiature costose? È utilizzabile anche nella assoluta oscurità? Riporta i colori della squadra calcistica del cuore? È dotato di una protezione antishock? È il modello di punta di un marchio prestigioso?
Ho appena riportato i primi esempi che mi sono passati per la mente, che fanno riferimento alle 6 leve universali che inducono all’acquisto:
I come INNOVAZIONE.
Non facciamoci ingannare da questo termine. Spesso per innovazione s’intende un’evoluzione del prodotto, derivata dall’integrazione di una specifica, mutuata da un altro settore merceologico. Un portatile “snodabile” che può assumere diverse configurazioni in base al luogo di utilizzo (seduti a tavolo, distesi su un lettino in spiaggia o mentre siamo in treno), non è di per sé un’invenzione, quanto piuttosto l’applicazione di un congegno già esistente a questo prodotto.
L come LUCRO.
Chi non è interessato a risparmiare alzi la mano. Attenzione però, consideriamo questo termine in senso lato. Lucro è ciò che ci fa guadagnare, risparmiando nell’immediato, ma anche ciò che ci consente di razionalizzare spese da affrontare o che ci permetterà di conseguire maggiori utili. Tengo a precisare questo concetto perché il cliente non fa questo passaggio autonomamente. Aiutiamolo noi con una comunicazione efficace, che faccia leva più sugli effetti che sulle caratteristiche tecniche del prodotto.
C come COMODITÀ.
Comodo in tutte le sue accezioni. Può trattarsi di un divano confortevole, di un prodotto facile da reperire o di una confezione pratica da aprire. Significa anche a portata di mano oppure semplice da comprendere. Il sistema operativo Windows ha fatto la sua fortuna proprio grazie a questa caratteristica e non certo per le proprietà tecniche del software. Molti esperti, infatti, reputano più performanti altri sistemi che tuttavia hanno avuto minor fortuna.
A come AFFETTIVITÀ.
Questo paradigma di valore apre un intero universo. La pulsione affettiva, sia essa riversata ai familiari, sul proprio partner o nell’ambito delle amicizie, è uno degli elementi distintivi dell’essere umano. L’affettività va interpretata anche come bene che si vuole a sé stessi, basti pensare al senso di gratificazione che ci pervade quando “ci facciamo un regalo”. In questo caso il consiglio è: pensate al vostro cliente non solo come una controparte, ma anche come un essere umano. È verosimile che riuscirete a conferire una specifica supplementare al vostro prodotto o servizio, che renderà l’offerta più gradevole. Perché mai, altrimenti, la Ferrero avrebbe dovuto personalizzare le confezioni di Nutella, stampando su di esse nomi di battesimo?
S come SICUREZZA.
La certezza del risultato è condizione essenziale per l’acquisto. Pongo un accento particolare su questa quinta leva, poiché la mancata applicazione è la causa del “ci devo pensare”. Concepiamo e realizziamo quindi una proposta che sia inattaccabile da questo punto di vista.
O come ORGOGLIO.
Che lo ammettiamo o no, siamo tutti vittime di questo sentimento, in maniera più o meno consapevole. Secondo Maslow, l’essere umano, una volta soddisfatti i bisogni primari, rivolge la sua attenzione al soddisfacimento di necessità meno concrete. Ciò che ci distacca dall’immanente e ci fa aspirare al trascendente.
Diceva Fabrizio De Andrè: “Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura“.
La citazione può apparire poco pertinente o irriverente, ma l’attinenza è data dal senso del limite. Cerchiamo di capire come lusingare intelligentemente l’ego del nostro cliente e lo vedremo cadere, anima e corpo, ai nostri piedi.
Stefano